Don Vito
Cacici aveva la sartoria di fronte casa mia, a strata ranni, da
dove la mia famiglia si trasferí nel '53. Se la memoria non mi
inganna credo si chiamasse Montalto. Lo odiavamo perché ci
minacciava per il rumore dei carrettini con le " ruote a pallini
" (cuscinetti a sfera ) che gli procuravano un enorme fastidio.
Per il resto era un simpaticone.(Nello Benintende)
Siamo nella seconda meta' degli anni trenta, e Buccheri era un
paesino del profondo sud della Sicilia, dove si conduceva una
vita grama e modesta, che poi durante la guerra si fece piu'
dura e irta di gravi difficolta' generiche. In paese viveva un
uomo, di poco oltre 40 anni, del quale vi posso fornire solo "
la nciuria" o soprannome, per i puristi della lingua italiana.
Egli era inteso " Cacici". Costui faceva il sarto, e abitava
proprio in fondo alla "strata ranni". Era un omaccione di buona
stazza, ed era sempre allegro, aveva la battuta di spirito
pronta ed estemporanea, suscitando la simpatia di molti
cittadini buccheresi. Insomma si trattava di un soggetto
simpatico, buontempone, che , quando cominciava a parlare,
trasmetteva brio e buonumore a corposi capannelli di persone.
Del resto di questi personaggi, a Buccheri non ne sono mai
mancati, nel corso delle varie generazioni. La zia (Marietta
Calafato), mi
raccontava che, una volta fece una doverosa visita di lutto, a
casa di un' amica, alla quale era morto il marito, che, nella
fattispecie era compare di " Cacici". Ella entro' nella casa, si
inoltro' nella camera ardente, in cui giaceva il morto, e, dopo
aver manifestato la sua solidarieta' alla vedova, si sedette.
Premetto che, all'epoca, quando qualcuno abbandonava la scena
della vita, veniva sistemato, quasi sempre nella camera da
letto, sul medesimo giaciglio matrimoniale, luogo tenuto quasi
al buio completo, con un piccolo spiraglio di luce. D'un tratto
il buon " Cacici" giunse nella casa del dolore Egli entro' con
fare dignitoso, e si avvicinò all' amico esanime silenziosamente
e con buon decoro. Si fece il segno della croce, e poi, sfidando
le tenebre di quella che sembrava un antro dal buio pesto,
tento' di sedersi. Qui avvenne il primo colpo di scena, marca "
Cacici". Nel momento in cui egli si abbassò', in cerca di
qualcosa su cui poggiare il fondo schiena della sua grande mola,
sentì un lamento lancinante: "Aiai"!!!. Si voltò dietro,e , in
preda allo stupore suo e degli altri convenuti, ebbe a dire per
scusarsi: " Maria cumari, ecchi 'cceruvu vui nna seggia?" Mata
scusari assai assai", continuò'. Naturalmente il consesso
intero, interruppe il contegno di occasione, con un accenno di
ilarita', imbarazzante, quanto inconsueto. Ma non finì qua la
sorpresa anomala del triste momento. Molti di voi sanno,
soprattutto gli anziani, che quando qualcuno moriva, fino quasi
agli anni sessanta( io lo ricordo perfettamente), attorno al
morto, vi erano le cantilene dei propri cari. Usanze, che
provenivano dall'antica Grecia, con le cosiddette " nenie",
retaggio delle antiche tragedie della stessa , decantate in
letteratura dai grandi uomini di cultura. La signora, rimasta
vedova, nel caso specifico, non cessava un istante di intonare
questi lamenti, peraltro codificati da frasi di dolore
comunicativo al marito del tipo ( il dialetto lo comprendete
tutti, quindi consentitemelo) " E picchi' mi lassasti sula?, e
ura unni mi ni vaiu? Salutimi a Turiddu, salutimi a Cuncittina..
A questo punto, il nostro " Cacici", come sempre , arguto e
simpatico umorista, spinto dalla voglia di collaborare
cordialmente con la cumari, disse ad alta voce: " Cumari, pi'ffavuri,
scrivitici 'npizzinu, ca u capisci miegghiu". A quel punto il
solenne uditorio, immedesimato nel dolore della donna, ancora
una volta venne distolto dalla contemplazione, tradendo un
atteggiamento di eloquente sorriso di comicita'......(Fausto
Nicolini)
Io la so un po' diversa:salutatimi a ma marito salutatemi a
mo frate salutatimi a ma mamma salutatimi e ma soggiri ECC è
cacici ci dissi:ma tutti ssi cristiani si scorda, scrivitici n'pizzinu
è cciù mittiti na sacchetta quannu arriva cciù duna
È lei ci rispusi
"llampau caciciazzu"
(Addamo Buccheri
Francesca )
La frase completa era: ALLAMPAU CACICIAZZU... E CHI T'AVIA
FATTU MA'FFIGGHIU VASTIANU (Anonimo)
si diceva anche che aveva tanta stoffa e che una volta si mise taglia
taglia che non riuscì a fare nemmeno un "tascu" (cappello)!
(Vito Mazzone)
Era il sarto de' "ntuniari ". Il taglio dei pantaloni era con
cintola alta, assai sopra l'ombelico , e prevedeva " i tranti "
( bretelle ) , caratteristica se rossi. (Nello Benintende)
Si diceva che aveva due forbici una per la stoffa e una pe
cristiani (la seconda era la lingua) e la gente diceva cu
passa di cacici e nunne cinsuratu o nun c'è o è malatu
(Grazia Buscema)
A Buccheri , quando qualcuno è molto critico nei confronti di
altri, si fa riferimento a Cacici
praticamente si è coniato il termine e chi iai a forbici i
Cacici. (Vita Alderuccio)
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