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PI 'SSINTITU
DIRI |
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Ricordi di tempi andati...(Rosamaria
Alderuccio )
Seduta immobile, le mani incrociate sulla nuca, guardava
i tenui lumini attaccati a uno scorcio del maestoso muro
laterale della Matrice, di fronte allo scalino del
portone centrale della casa di nonna Rosina.......... |
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PRESSO MARENO
Presso Mareno è ed era il posto più fresco di Buccheri.
I nostri genitori, nelle calde ed afose giornate estive,
venivano qui in passeggiata, per refrigerarsi e
respirare aria buona............................. |
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LA FESTA DELLA PROVVIDENZA
Quello che ricordiamo della festa della provvidenza:
Ai tempi nostri, quando eravamo giovani nella settimana
prima della festa c’era la fiera degli animali che si
faceva fuori dal paese, dove c’è la chiesa del
Crocifisso. La si vendevano e si
compravano.............................clicca |
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IL ROSARIO
...ricordo donna Nidduzza detta a muricana abitava
appena sotto mia nonna, in quella casa o in quella a
fianco abitavano tutte donne molto vecchie, 80-90 anni
per quei tempi erano tantissimi queste .Queste usavano
dire il rosario in una stanza buia, e spegnevano la luce
per risparmiare,la casa già di suo era buia e tetra,loro
tutte rigorosamente di nero coi loro scialli neri per il
freddo,io restavo tutto il tempo vicino a mia nonna
terrorizzato senza muovermi. Provo a ricordarmi qualche
nome; a Pica a Barberi,a Masciaquina,a Muncada (mi
nonna).Altro che medioevo Enzo Costantino |
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Se mia mamma non fosse
nata .......
Io ricordo invece il figlio della signora Niddruzza in
un episodio a dir poco curioso. Nello svolgimento del
tema : "Descrivete la vostra mamma, "scrisse : Se mia
mamma non fosse nata io a quest'ora sarei orfano . Il
maestro Morabito, Dio l'abbia in Gloria, leggendo il
compito, scoppió in una risata che coinvolse tutta la
classe. Beata ingenuitá infantile! Nello
Benintende |
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na vota avia i rintitti
e nun c' erunu i miscuotti....
Come di consueto,la nostalgia del mio paese torna
puntuale , ed io la condivido sempre volentieri con i
miei cari conterranei , raccontando un episodio del.
passato, direi remoto. Sarà stato 1955 più o meno,
quindi io avevo circa 5 anni, eppure, magari vagamente
ho ancora oggi davanti un quadretto molto chiaro, sia
per la comicità , che per la triste verità, che ne
scaturiva. Io ero tanto per cambiare, a casa di zia
Marietta( dei miei nonni materni, )dove i miei genitori
mi lasciavano la mattina, dovendo essi recarsi entrambi
al rispettivo lavoro. La casa , come alcuni sapranno ,
aveva due entrate, una da Urito , e l' altra, più
pratica ed usuale, in un vicoletto cieco cui si accedeva
attraverso via Calafato. In tarda mattinata zia Marietta
( che viveva da sola in quanto nubile , ma ben voluta da
tutti i vicini di casa , che spesso la venivano a
trovare affettuosamente) ricevette la visita della
dirimpettaia signora Nella Scifo, meglio conosciuta nel
quartiere come " Nidduzza a bidella". La signora
Nidduzza era in compagnia della madre, molto anziana ,
che.portava in viso i segni del tempo, inclemente con
ogni essere umano ,quando s' inoltra oltre i limiti
ordinari. La signora anziana si chiamava Angela , ma la
chiamavano rispettosamente " A gna Iancila". La zia
Marietta , sempre ospitale e gentile con tutti , le
accolse cordialmente nella grande cucina ( un tempo le
cucine , con le persone care, fungevano informalmente da
salotto. )Io intanto ero nel mio mondo ,giocando con
oggetti di trastullo che epoca arcaica offriva, ma
prestando nel contempo il mio udito ai loro discorsi.
D' un tratto zia Marietta , come " il bon ton" imponeva
, aprì la credenza , un armadione grezzo, con tanti
ripiani, dove c' era un vero emporio, di tutto e di piu',
tirando fuori una scatola di biscotti, e li offrì
gentilmente alle due donne. Nidduzza ne prese alcuni,
gradendoli con piacere. A gna Iangila invece rimase
immobile e non prese alcun biscotto, pur guardando verso
il vassoio con visibile a marezza. Zia Marietta a quel
punto , invitò l' anziana signora a prendere qualche
biscotto anch' essa. A gna Iancila ,con gli occhi teneri
e languidi , disse testualmente alla zia: - Signurina
Marietta,.....na vota avia i rintitti e nun c' erunu
i miscuotti....ura cci sunu i miscuotti , ma i rintitti
nun laiu cchiu.....Non ho mai dimenticato questo
siparietto tenero..ma molto triste.......Fausto Nicolini |
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MIA
NONNA
Mia nonna aveva perso un figlio, il più grande, sedici
anni, perno della famiglia. Allora nel mio piccolo paese
di montagna si credeva veramente che la notte di
Ognissanti (altro che l'orribile halloween) passassero i
defunti. Lei, Francesca, voleva rivedere suo figlio, per
una sola volta, per un solo istante! Non avrebbe neanche
voluto toccarlo, non avrebbe neanche voluto fermarlo.
Solo vederlo... per un istante. Non si era mai
rassegnata, non aveva finito ne' le lacrime negli occhi
ne il sangue nel cuore. Voleva...voleva vederlo. Vederlo
quella sera, quando, si diceva passano i morti e lui era
morto! Era una serata gelata. Novembre irrompe sempre a
Buccheri col freddo che asciuga il viso e lo rende
freddo come un marmo. Lei uscì dalla stanza da letto,
spinta da un'ansia galoppante e col cuore che pulsava in
gola si diresse verso il piccolo balcone che dava sulla
strada. Si mise ferma, attenta, spaziando con il suo
sguardo ansioso dall'inizio alla fine della strada, dove
il chiarore della luna muoveva cristalli di luce. Con lo
scialle nero sulle spalle, incapace di riscaldare il
corpo e ancor meno l'anima, aspettava, ascoltando i
quarto d'ora dell'orologio da Batia. Il grigio freddo
della notte proiettava ombre immobili di scalini, volte
di case e di vasi addormentati. Non passava nessuno a
quell'ora. Alle undici di sera, solo qualche gatto
silenzioso e lei, Francesca Daquino, maritata Trigili
aspettava Pippinu. Aspettava. Aspettava.... Poi non ha
aspettato più. Ha preferito andarlo a trovare, di
persona. Non poteva aspettare un'altro Ognissanti, non
ce la faceva. E loro? i due carusitti rimasti senza
mamma? Quelli che si aggrappavano alla sua veste? Quelli
che per tutta la vita hanno sofferto la sua mancanza? E
io, che ho sempre invidiato chi aveva le nonne? Io,
neanche una! Ma è giusto inseguire un dolore e lasciarne
dietro tanto altro?
Se non è giusto è irrazionalmente umano. (Giuseppe
Gaetano Trigili) |
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GLI
ANNI 50 Un giorno degli anni 50 alla badia
In quasi tutte le stagioni si arrivava
infreddoliti, né rientrati a scuola le cose cambiassero
tanto. Appena arrivati ci si metteva in fila e si
arrivava in classe marciando e segnando il passo . I
maschietti erano separati dalle bambine. Arrivati in
classe si salutava il signor maestro. Buongiorno signor
maestro. Si rimaneva alzati e si recitavano le
preghiere. La mia classe recitava; padre nostro, ave
Maria, gloria al padre, angelo di Dio ,e l'eterno
riposo. Tutti i giorni all'entrata e all'uscita dalla
scuola. Se si faceva i monelli volavano le scoppole,la
bacchetta di nuciddi, era sempre pronta. Avevamo solo
due libri: lettura e sussidiario,e ne sapevamo un fascio
più di adesso. Nei banchi avevamo ancora i calamai con
l'inchiostro che donna Vituzza o donna Giuseppina ci
caricavano. Avevamo sempre le mani sporche
d'inchiostro,e i pennini erano sempre sgangherati.
Avevamo le cartelle di cartone e subito dopo si bucavano
e perdevamo la penna e la matita .Avevamo il quaderno
della bella e della brutta righe e quadretti,una gomma e
una carta assorbente. La colazione l'avevamo già fatta a
casa: pane e latte. Nella ricreazione non si mangiava.
Si giocava e basta. Eravamo dei bambini poveri ma
felici,a Buccheri non c'erano differenze sociali.
Eravamo tutti buccheresi, e questo ci bastava.
(Enzo Costantino)
Tutto
vero...ne sono testimone diretta! Quando si andava a
scuola con tanto senso di responsabilità e impegno nello
studio. E quanti ricordi legati a queste due carissime
bidelle , una più severa , l'altra molto dolce! Io
vigilavo sull'inchiostro versato nel calamaio tondo
inciso sul banco e, se mi sembrava poco, ne chiedevo
ancora. Spesso ,quando tornavo da Scuola da sola,
imitando gli altri o le altre compagnette, lasciavo
ruzzolare la cartella lungo la scalinata di
Sant'Antonio, decretandone presto la fine imminente
(Rosamaria Alderuccio)
E io
aggiungo, nonostante la penuria di libri con la quinta
elementare ci si poteva paragonare con le scuole
superiori di adesso, si studiava di tutto, storia
geografia aritmetica e quant'altro, mi ricordo i
fratelli Pisano molto preparati e severi, anni
1953-1959, si imparava solo ascoltanto le lezioni e poi
compiti a casa, ne ho la nostalgia. (Antonio Disilvestro)
Negli anni sessanta non c’erano più le boccette
d’inchiostro ma restavano i buchi nei banchi di legno
dove avrebbero dovuto essere messe, e i vari scarabocchi
d’inchiostro. Ormai usavamo le penne a biro, ma Vituzza
e Giuseppina c’erano ancora. Erano molto care loro.
A mezzogiorno c’era la mensa con la buonissima pasta al
sugo, rigatoni di solito.
C’erano i turni, che parte della badia era pericolante e
la stavano ristrutturando.
A me piacevano molto le classi pomeridiane. Si, maschi e
femmine erano separati e facevano alla guerra. Ma ci
divertivamo anche moltissimo. D’inverno quando nevicava
scivolavo per le scalinate di Sant’Antonio. (Karen
Maria Berna-Hicks)
I pennini costavano 2 lire con il resto bi 3 lire
compravo 3 panetti di liquirizia da Don Angelo in piazza
Toselli, dove sono nato, avevamo poco, ma eravamo
contenti è felici con come non mai (Giuseppe Mazzone)
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RIFLESSIONI SUI TEMPI PASSATI
Quando Buccheri, era pieno di gente,e noi eravamo
bambini, non avevamo necessità di andare in vacanza,................clicca............................ |
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U
cugghiangulu
Sono delle olive piccolissime che non corrispondono a
una varietà ma sono la sintesi di un difetto di
impollinazione.
Sono meglio definite psudodrupe, piccole olive
tondeggianti, raggruppate in grappoli che, seppur
provviste di nocciolo non sono munite di seme,
riconducibile a una difficoltà della fecondazione da
parte del polline. Tale difficoltà può essere causata da
diversi fattori, tra questi vi è la carenza di boro.
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Restauro della statua
della Provvidenza - Chiesa di S. Antonio abate -
Buccheri
Il 5 Luglio di quest'anno (2013) ho pubblicato una foto
ed ho scritto un episodio che mi capitò nel 1966 in
merito alla Madonna della Provvidenza di Buccheri, che
ridipinsi. Siccome il vero lavoro d'artista fu compiuto
dallo scultore prof. Nello Benintende, nostro compaesano
e mio caro amico, l'ho pregato di scrivere ciò che
ricordava del restauro da lui effettuato in quello
stesso anno alla statura della Madonna della
Provvidenza. Ringraziandolo vivamente,mi ha dato questa
sua memoria, che riporto sotto:
(Tanino Cannata)
"MEMORIA
Restauro della statua della Provvidenza - Chiesa di S.
Antonio abate - Buccheri
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Il 23 Maggio del 1966, giorno seguente la festa della
Madonna della Provvidenza (per tradizione si celebrava
la domenica successiva la festività dell’Ascensione ),
il simulacro rovinava a terra durante le operazioni di
smontaggio dal fercolo per riporlo nell’apposita nicchia
della cappella di S. Vito.
In quel tempo insegnavo ad Erice e mi raggiunse
telefonicamente il compianto cav. Salvatore (don Turiddu
) Lia, colonna portante dell’amministrazione della
chiesa, che, legittimamente preoccupato, mi informava
dell’accaduto con una descrizione sommaria dei gravi
danni e mi chiedeva della mia venuta a Buccheri per
provvedere in qualche modo al possibile restauro,
raccomandandomi nel contempo di non farne parola con
alcuno.
Da antoniano ( cu i tranti ) non potevo che rassicurarlo
sulla mia assoluta disponibilità, ma risposi che potevo
essere a Buccheri non prima della fine del mese
successivo, per gli impegni di fine anno scolastico;
raccomandai ogni cura nel raccogliere e conservare il
ben che minimo frammento, e di ricercare quante più foto
possibili della statua, scattate da più punti di vista.
Ma perché mantenere il segreto? Per non essere tacciati,
a sua volta, di irresponsabilità dai maddalenari.
In quegli anni non si erano ancora spente del tutto le
antiche rivalità con la chiesa di S. M. Maddalena, e
alcuni devoti antoniani avevano in qualche modo deriso i
rivali per la disattenzione avuta nell’incendio della
stupenda statua di S. Francesco di Paola, avvenuto
l’anno precedente (il 31 luglio 1965) nella notte della
vigilia della festa al santo dedicata. Preparando la
“vara col Santo” per la processione del giorno veniente
ci si dimenticò di una candela accesa sotto il fercolo
per illuminare la zona delle operazioni di ancoraggio
della statua.
Rientrato a Buccheri ed esaminando bene la statua della
Provvidenza, mi resi conto che, malgrado tutto, i danni
erano rimediabili. Il poverello, per fortuna, essendo
stato già tolto poco prima del grave episodio, non
necessitava di interventi.
Nella caduta la statua si era frantumata dalle spalle in
su, ma per fortuna il volto, a parte alcune lesioni, era
rimasto in buono stato.
Con l’aiuto del compianto Vito Ramondetta, approntammo
tutto nella saletta attigua alla sacrestia e a mo’ di
pouzzle, su un tavolo, ricomponemmo quanto era
possibile, scartando i pezzi senza colore; tranne uno
che recava una targhetta, se ben ricordo, di rame su cui
si leggeva appena “… C--are – CHIA--- MONTE “ che poi
reinserii all’interno della statua*.
Sistemata un’anima in legno che potesse sostenere la
massa mancante da modellare e permettermi, come prima
operazione, di posizionare perfettamente il volto, si
continuò a preparare vari miscugli a base di gesso di
Bologna e colla animale per trovare le dosi più idonee e
quindi, con l’aiuto delle foto, cominciai a modellare la
spalla e via via tutto il resto per finire coi capelli e
il velo. Mi divertiva la cura di Vito nel chiudere
sempre la porta a chiave., tanto che mi venne spontaneo,
scherzando, chiedergli quanto tempo mancasse per “l’ora
d’aria”. Ma l’ultimo impasto risultò più duro del
previsto, tanto che per le finiture dovetti usare le
raspe che solitamente si usano per il marmo.
Approfittando dei tempi d’attesa della presa, si
restaurarono alcune parti scalfite del Redentore, le
mani del S. Paolo ( detto di Viziu) e interventi di poco
conto sul poverello** che riceve il pane.
Ma, ultimato il lavoro plastico, non ebbi il tempo per
dare il colore, dovendo ritornare ad Erice per le
operazioni d’esame di riparazione. Lavoro che eseguì con
apprezzabili risultati, subito dopo, l’amico pittore
Tanino Cannata, suppongo con l’impegno di mantenere il
segreto; infatti, in paese, della vicenda si è venuti a
conoscenza soltanto dopo parecchi decenni.
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*- Dal registro dei mandati : La statua fu commissionata
a certo don Cesare da Chiaromonte Gulfi nel maggio del
1886. Pervenne a Buccheri il 4 gennaio del 1888.
**- E’ curiosa l’errata convinzione del popolo che il
poverello raffiguri S. Bartolomeo, di cui non c’è alcun
attributo. Probabilmente il modello o qualcuno
somigliante alla statua si chiamava Bartolomeo. Ed
essendo con la Madonna doveva essere un santo. Diventa
così S. Bartolomeo. Ma è soltanto una mia ipotesi.
Qualcosa del genere era già successa in passato. Si
affermava che l’artista autore degli gli Apostoli in
stucco della navata centrale “ fu fattu santu “.
L’artista è Giuseppe Gianforma, che probabilmente lavorò
su disegni del maestro Bartolomeo Sanseverino. – “fu
fattu santu”, sdoppiando il cognome in San-severino …
naturalmente.
Nello Benintende
--Giugno 2013--". |
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UNA GIORNATA INVERNALE
Se mi riesce, vorrei raccontare una giornata di tanti
anni fa quando facevo forse la terza elementare. Sembra
un racconto di secoli fa, ma il mondo ha fatto negli
ultimi 50/60 anni un tale cambiamento che quanto mi
accingo a scrivere può sembrare poco veritiero. Parlerò
di una giornata invernale. Buccheri , era un paese molto
freddo, c'era tanta nebbia, e le case quasi tutte senza
intonaco e costruite quasi esclusivamente con pietra
lavica di colore molto scuro, quasi nero, le dava un
aspetto tetro e triste. Dai tetti delle piccole casette
basse il fumo che ne fuorusciva si confondeva con la
nebbia. Mia madre aveva già messo i miei vestiti a
scaldare nella conca, ed io dentro le coperte guardavo
il fummulizzo che ne usciva per la tanta umidità, uscire
dal letto diventava un atto eroico. Le coperte non
mancavano, anzi bisogna dire che erano parecchie, ma
senza sostanza, si trattava di cutri, cuttunini,carpiti,
non mancava qualche coperta militare con lo stemma del
regio esercito. La nostra colazione era esclusivamente :
latte e pane, lo zucchero quando c'era. Bisogna però
dire che quando uscivamo da casa, con il nostro
grembiulino nero, il collettino bianco e il nastro
azzurro , facevamo la nostra figura, sulla manica del
grembiulino avevamo scritto con della striscette di
stiffa bianca la classe che frequentavamo. In classe
eravamo tutti uguali,non avevamo firme: non sapevamo
nemmeno cosa fossero. Ma la dignità con cui le nostre
mamme in modo pulito e ordinato ci mandavano a scuola
con tanto orgoglio, ripensandoci oggi a distanza di
tanti anni mi commuove. Voglio dedicare questo scritto a
mia madre e a tutte le mamme di Buccheri.
(Enzo Costantino) |
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I SCARPI CHE CUPIRTUNI
Durante la guerra, con lo sbarco degli anglo americani,
a Buccheri, ne in tutto il resto dell'isola non si stava
bene, ci si arrangiava alla meglio Un buccherese padre
di 6 figli maschi, riuscì ad ottenere uno pneumatico di
una jep dagli inglesi, e pensò di costruire delle scarpe
per i suoi ragazzi, tagliò il copertone a misura di ogni
piede e li allacciò con degli spaghi. L'indomani
dovevano andare a vendemmiare, la sera prima aveva
piovuto e quindi nella trazzera di terra battuta, i
ragazzi, con le loro scarpe di pneumatici, lasciavano
delle tracce di jep. altri contadini che passavano dopo
non potevano spiegarsi, come avessero potuto gli inglesi
a passare con dei mezzi in un posto così impervio
dicendo: ma a sti miricani cu là firmari. Cose vere
quasi irreali!
(Enzo Costantino) |
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A LEUCATRICI
Un
fatto realmente accaduto a Buccheri quando io ero
piccolo. Mio cognato Ciccio Scollo era stato contattato
da Don Vito Cacici (il sarto) che aveva aperto una
fabbrica di mattoni proprio davanti a casa mia in Via
Umberto. Fu in quella fabbrica che (se non ricordo male)
mentre squagliavano la quacina lo zio di Vittorio
Salamone ci
perse un occhio e fu chiusa (penso per quel motivo).
Comunque ai primissimi tempi funzionava e mio cognato fu
contattato da Don Vito Cacici per un viaggio col camion
a Vizzini.
"Dobbiamo prendere la leucatrice*"
gli disse Don Vito e mio cognato scendendo dai canali
per andarlo a prendere all'uscita del paese si fermò
all'altezza di dove è ora il Forno a Ligna e bussò dalla
levatrice. La levatrice, pensando a qualche parto non se
lo fece dire due volte e scese di corsa. Fu quando
arrivarono davanti casa mia dove l'aspettata don Vito
che questi gli chiese come mai avesse portato la
levatrice. "Ma me lo disse vossia" gli rispose mio
cognato. Finì a risata generale e dopo averla
riaccompagnata a casa andarono a Vizzini. Dovevano
prendere la LEVIGATRICE e la parola "*LEUCATRICE"
assomigliava più a LEVATRICE che a LEVIGATRICE. (Vito
Gambilonghi)
Cicciu Scollo me la raccontó diverse volte e devo fare
delle precisazioni. Non si trattava di don vito Cacici
(Montalto) bensí di don Turiddu Zappulla, mastro
muratore, fratello del maresciallo soprannominato
maresciallazzu, il quale abitava sopra la sartoria di
Don Vito Cacici ( odiato dai ragazzi perché non
sopportando il rumore de' roti dei carrettini, li
minacciava). Don Turiddu Zappulla abitava di fronte alla
casa di Antonino Tavano. (Nello Benintende )
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A MISSA
I L'UNNICI ((Fausto Nicolini)
Un altro quadro interessante che mi è rimasto impresso,
tra le care reminiscenze buccheresi ,era sicuramente la
celebrazione della santa messa domenicale. Essa veniva
annunciata dallo scampanio assordante della chiesa madre
( a matrici per noi buccheresi doc), sita proprio a
pochi metri da casa mia. Dalla grave tonalità del suono
delle campane, più che un annuncio , sembrava un
ammonimento biblico a partecipare al consueto rito
domenicale. All'interno del tempio,osservavi le donne
vestite a festa ( alcune si impupacchiavano in modo
civettuolo, ove raccogliere consensi tra gli sguardi
avidi maschili) poste ordinatamente sulla navata destra.
Gli uomini invece stavano in quella sinistra. Molti
baldi giovani preferivano disporsi in ultimo ,
assistendo in piedi alla cerimonia. Mio cugino Tanino
Cannata, del quale io fui l'ombra perenne, era uno di
questi. Elegante più che mai , con abito principe di
galles e nastrino legato al collo della camicia. Mentre
io cercavo di emularlo con il mio abitino domenicale
"pied de pole", e papillon elasticizzato, che mi serrava
la carotide. Il tutto era contornato da un' atmosfera
solenne.
Complimenti Fausto . Così chiaro il quadro descritto che
mi sono rivisto in una domenica mattina a Matrici
aspettando che cominciasse la Santa Messa . Io mi
ricordo che quando fu istituita la messa in italiano
andavamo a messa a Santa Maria Maddalena con padre
Vaccaro che ci sveva istruito in sacrestia come
rispondere al rito. Io ti ricordo sempre vestito
bene anche durante la settimana. (Francesco
Mazza )
Ricordi la Signorina Amelia, con le dita intrecciate sul
grandissimo seno, com'era compita dopo aver preso la
comunione? Sembrava in celestiale estasi, non posso
scordarla (Turi Terzo )
La zia Amelia, certo ( eravamo parenti alla lontana),
era la presidentessa dell'azione cattolica"! Era lei che
dava inizio all'inno sacro" Noi voglim Dio!" (Fausto
Nicolini )
Noi eravamo sempre in piedi, ultimi vicini al portone !
Eravamo gli ultimi ad arrivare a messa già iniziata e..i
primi a svignarcela all' "ite missa est". Il Chianu e
Canali ci aspettava !!! (Vito Buccheri )
Infatti, se leggi bene quelle poche righe da me scritte,
a seguire,noterari il mutamento dello stato d'animo dei
fedeli, alla fine della funzione, in prospettiva di un
incontro ravvicinato con i bar dei "canali". (Fausto
Nicolini )
Fausto, non hai menzionato il ricordo olfattivo della
lacca sui capelli cotonati delle donne !!! (Vito
Buccheri )
Nonostante avessi un buon senso dell'olfatto, quel
dettaglio non lo ricordo,. Probabilmente mi
distoglievano gli acuti della voce della si.na
Margherita Giaquinta, quando intonava gli inni sacri.(
anche lei bravissima donna)....(Fausto Nicolini )
Io ricordo che i bambini erano seduti tutti nei primi
banchi sotto gli occhi vigilanti della signorina Amelia
e di Margherita Giaquinta, che io chiamavo zia. Le
beniamine, le adelanti. Poi c'era l'organo sulla
sinistra sempre suonato magnificamente dalla signorina
(mi sembra si chiamasse) Maria. Era sempre vestita in
nero. Se la ricorda nessuno? (Karen Maria Berna-Hicks)
Sì la ricordo anch' io , era piccola di statura il viso
scarno ma gradevole. Si chiamava Maria forse Costantino?
Non ci giurerei (Fausto Nicolini )
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U MIRICINALI PE SURCI
Un buccherese entrò nel negozio di ferramenta di Ciccio
Buccheri e gli chiese: Cicciu chi iai miricinali 'pe
surci?
Ciccio Buccheri prontamente rispose: Picchi? chi
l'hai malati?
(narrata da Salvatore Amato) |
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U MONUCU A MARONNA
Ju m'arrivordu di nica, nica.... Quannu passava u Monicu
a Maronna, che Bulli Santi, ma mamma mi dicia ca cu
chissa... Ci scriviunu i missi pe morti e cia diciunu a
Palestina.....(Maria Grazia Paparone )
u monicu ca passava era chiddu ca vinnia i " Bolli e
Lochi Santi" , missi pe' morti e vinnìa macari rusarii
(Turi Terzo) |
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IL CIRCOLO
FILODRAMMATICO
mamma mia quanti ricordi! il circolo
filodrammatico, mio padre ci giocava a carte tutti i
pomeriggi, e io nel seminterrato ci ho frequentato il
corso di danza classica per due anni col maestro sabino
riva, cugino di gigi riva al quale somigliava
spudoratamente! chi se lo ricorda? (maria grazia pisano)
meraviglioso il sorriso di nellina, era bellissima,
solare e di classe!
(maria grazia pisano)
bellissima,nonostante la mia "giovane età" qualcuno l'ho
riconosciuto!!! (giuseppe ziccone)
che bei tempi....(vito daquino)
una volta io e vito molinaro abbiamo cantato le nostre
canzoni, la quale l'ultima che io avevo scritto e vito
l' aveva messo in musica s'ititolava " tu mi neghi un
bacio " e l'abbiamo dovuto ripetere tante volte pechè
chiedevano sempre il bis. bei tempi .(francesco mazza )
quei carnevali trascorsi al circolo filodramatico erano
solamente favolosi (giuseppe mazzone )
e chi si dimentica di quelle serate aspettate e godute fino all'ultima
nota.....una serata non la lasciavo e il divertimento
era assicurato...(marilena calisti)
allora si ballava solo i nel periodo tra natale e
carnevale, non si perdeva una serata, ma si rispettavano
i tempi, l'apertura della discoteca ha segnato la fine
di queste usanze (graziella bucchieri)
quella sala sembrava immensa per tutte le persone che
conteneva, c era tanta gioia e spensieratezza. quanti
bei ricordi (salvo interlandi )
tutto era bello, magnifico, entusiasmante, semplice,
elegante, sincero. non ci sono parole.
(tanino cannata)
la mia generazione...forse...ma penso di si..è stata l'ultima a vivere i
momenti indimenticabili del ..circolo...e li, che mio
padre, mi ha insegnato i primi passi del valzer....bei
ricordi (franco pappalardo)
no franco anch'io ci andavo ed ho dei bei ricordi
peccato...(gianni grazia rotella)
8 marzo 2014 alle ore 19.54 · mi piace
ogni volta che penso a quei momenti mi si stringe il
cuore......che belli ricordi ...non verranno piu' quei
momenti ...e neanche le persone che mancano
all'appello......nella calisti
ma l'ultimo è leonardo cannata da piccolo?...?..?
daniele lipari
chi mi aiuta a ricordare come si chiamava il presidente
del circolo filodrammatico ? grazie. vito buccheri
per tanto tempo è stato giovanni mazzone(bummi)..franco pappalardo
mi riferisco a quello che balla con la miss.giuseppina
manfredi (vito buccheri)
in
primo piano col garofano al`occhiello, mio padrino
giuseppe di pasquale (pippno carena), rientrato in
italia dopo tanti anni in argentina. sicuramente credo
sia il presidente del circolo, di cui e stato uno dei
fondatori insieme a salvatore lia, sebastiano amato,
vincenzo amato, ciccio sola, maresciallo fontana,
santino fontana, paolo trapani ed altri che in questo
momento non ricordo. ma il beniamino di quella squadra,
in ottobre l`o salutato in piazza roma; il signor
vincenzo ricciardi. (giovanni amato )
9 marzo 2014 alle ore 11.33 · mi piace · 1
grazie giovanni. don pippinu carena. (vito buccheri)
il presidente del circolo filodrammatico, il sig.
giuseppe dipasquale, era un vulcano d'idee. riusciva ad
organizzare tutto e bene; non si scoraggiava mai ed era
quasi sempre col sorriso in bocca. tempi preziosi,
quelli! (tanino cannata)
queste immagini mi riportano alla mia infanzia. le
serate al circolo erano anche per noi bambini un vero
divertimento. mentre i nostri genitori ballavano, noi
giocavamo a nascondino in mezzo ai cappotti (giù nel
guardaroba) o acchiappa acchiappa, rincorrendoci in
mezzo alla gente immersa in una mega quadriglia ......
ha proprio ragione nellina calisti, stringe il cuore
vedere queste foto......spaccati di vita passata che non
tornano piu' e tante persone care che non sino più tra
noi (marilena gissara ) |
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IL SORTEGGIO
Gaetano Amato (Tanu Cappiddaru) negli anni '60 vinse un
quandro di S. Francesco di Paola e gridò forte (dentro
la chiesa di S. Maria Maddalena) VIVA SANT'ANTONIO!!!
Vero! Tutto documentato. Per poco non lo linciarono!
(Vito Gambilonghi ) |
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I
picciriddi ca nasciunu a Santa Niria nasciunu ciocci!
(Val la pena ricordare qui quanto ha
"suggerito" un nostro Co-Autore (Franco Interlandi) a
proposito di una leggenda che veniva riferita dai nostri
antichi:)
I picciriddi ca nasciunu a Santa Niria nasciunu
ciocci!
A proposito di questo detto io ci aggiungo una mia
ipotesi,
Quando "fu deciso" di spostarsi verso l'alto, magari per
ordine dell'Imperatore, la gente era molto restìa ad
abbandonare Sant'Andrea, che era un paradiso terrestre
per quasi tutto l'anno, per spostarsi in un luogo
impervio e freddo dal quale era molto difficile
ripararsi nei mesi invernali, quindi per "spingerli" a
salire in alto i "notabili" misero in giro questa
diceria come spauracchio per il volgo. (Vito Gambilonghi)
Su un blocco lapideo situato nella Chiesa d san Andrea
,qualcuno ha inciso in tempi antichissimi il nodo di
Salomone ... Da una ricerca da me effettuata si evince
che uno dei tanti significati o magici poteri che ha il
suddetto simbolo e quello che allontana o cura la
balbuzie ...sarà una diceria ma a quei tempi passava per
verità. E comunque, io penso che la leggenda nasce dal
fatto che essendo l area di ragameli un casale arabo, i
nostri concittadini hanno pensato che quegli strani
uomini col turbante che parlavano in modo strano fossero
tutti chiocci. (Francesco Interlandi)
l'ipotesi della balbuzie dovuta al diverso accento degli
arabi, è probabilissima. C'è un piccolo dettaglio, per
secoli siamo stati "dominati" dagli arabi e c'è stata
una mescolanza di razze che avrebbe dovuto quanto meno
livellare gli accenti, quindi è anche probabile che
questa diceria risalisse addirittura a qualche secolo
prima.(Vito Gambilonghi)
Riguardo la diceria che a Sant'Andrea i figli nascevano
balbuzienti, mia nonna Maddalena che ha vissuto 96 anni
mi raccontava la stessa cosa che le aveva raccontato la
sua nonna , ma lei non credeva a tutto cio che si
diceva, perchè sua nonna e sua volta le disse che era
tutta una menzogna messa in atto ,perchè si doveva
sfruttare la terra che è circa 670 metri sul livello del
mare e le olive acquistavano un sapore migliore .Cosa
che a me mi convince di piu'. (Francesco Mazza )
Una volta mi definirono (o mi autodefinii, non ricordo),
un animale iper-razionale e lo sai perché? Perché, per
quanto astrusa e poco probabile fosse una ipotesi, se
esisteva una possibilità anche remota che fosse valida
io non la scartavo, anzi... L'esperienza negli anni mi
ha insegnato che a volte sono proprio le ipotesi più
astruse (non diciamo assurde) quelle che poi si scopre
essere quelle vere. Questa tua in principio m'era
sembrata un po' anacronistica, ma poi a pensarci bene, e
soprattutto tenendo conto che fino a qualche secolo fa
le donne lavoravano nei campi e non esistevano periodi
di "maternità" prima e dopo il parto, mi son ricordato
che effettivamente (e non erano proprio rarissimi i
casi) qualcuna partoriva mentre "raccoglieva le olive" o
mentre era intenta a raccogliere altri frutti in altri
periodi dell'anno. Unica precauzione che prendevano a
quei tempi era quella di non andare mai da sole
specialmente in gravidanza avanzata, ma farsi
accompagnare da sorelle, madri, amiche ecc. Cosa dire
dunque di questa cosa che ti raccontava tua nonna? È
PROBABILE!!! E aggiungo: POSSIBILISSIMA!!! (Vito
Gambilonghi) |
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mio nonno
;
un vecchio nonno così com erano una volta i nonni
buccheresi.Venivamo da raccauta dove mio nonno ,aveva il
suo uliveto, mio nonno si chiamava Francesco , Don
Cicciu bracazza meglio conosciuto come ( u gnuri) che
per chi non lo sa vuol dire cocchiere , che era la
professione di mio nonno. Ebbene, mio nonno, ormai molto
vecchio: si ferma, scende dal mulo sul quale eravamo a
cavallo , tira fuori il suo coltello da innestare, e
comincia ad innestare un pero selvatico che si trovava
ai bordi della trazzera, aveva portato con se , da un
nostro pero un buon innesto. Quando io gli feci notare
che l'albero non rientrava nella nostra proprietà, Lui
rispose: tantu crisci o stissu almenu cu passa si fa a
vucca duci. Questi erano i buccheresi di una volta,e per
fortuna ancora i più sono così. Un grazie achi ci ha
preceduti e insegnato un modo di vivere sano e pieno di
valori. (Enzo Costantino) |
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La famiglia Pisana
Una famiglia che mi ricordo e che ammiravo nella mia
infanzia buccherese. La famiglia Pisana. Il padre era
sordonuto, la madre ai miei occhi mi sembrava sempre
triste, i figli erano Nello e Alfio che si facevano gli
scherzi, Margherita e Lina...Solo uno ho visto qualche
anno fa, Nello. (Giuseppe Gaetano Trigili) |
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A LUNA I CATANIA
Un detto che deriva da un aneddoto che si raccontava una
volta. Un contadino aveva un figlio che riteneva
intelligente e lo voleva fare studiare a Catania.
Partirono da Buccheri di notte, con un cielo stellato e
la luna piena. Dopo qualche decina di chilometri il
cielo si copri di nuvole e cosi per diverse ore. Prima
dell'alba arrivarono a Catania e di nuovo il cielo
limpido ed una Luna visibilissima ai primi chiarori
dell'alba. Il ragazzo alzando il viso verso il cielo,
restò perplesso. "I pà, ma chistà ch è a luna 'i
Catania?" A quella domanda il padre non rispose
completamente e girò il carretto verso buccheri. "I pà"
nella buccheri antica significava "oh papà" (Giuseppe
Gaetano Trigili)
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SANTA PITRULIDDA
Quando mia nonna mi raccontava favole e mi doveva
specificare di una persona che scappava spaventata,
diceva:"E dduòcu, cùrsi, a Santa Pitrulidda!" (volendo
dire che scappava velocissima). (Tanino
Cannata)
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I BUMMULI
Nell'immediato dopoguerra, cani, galline e qualche maialino erravano per
le vie del paese. Una donna tornava dai quattro canali
dopo avere riempito i suoi due "bùmmuli".
All'incrocio di Piazza Roma, con via Umberto (NDR), la donna vide due cani che cercavano
di...fare l'amore. Dopo alcuni tentativi, finalmente il
cane vi riuscì. La donna, che aveva osservato
attentamente la scena, nel momento culminante,
esclamò:"Chi fu beddu!" e unì con forza i due bùmmuli
pieni d'acqua...rompendoli.
(Tanino Cannata)
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IL RULLO ASFALTATORE
Negli anni '30 dovevano costruire una via all'interno
del paese. Il pubblico banditore annunziava: "Arritirati
jaddìni e porci, ca dumani passa u machinuni!!!"
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U CIARAULU
Si diceva che chi fosse nato il 29 giugno (festa di san
pietro e paolo) fosse "ciaraulu" (non ricordo più cosa
significasse esattamente) e c'era anche un detto: "paulu
ciaraulu la fuogghia d'addauru, na spina pungenti..xxxxxx.
i ggenti! chi se lo ricorda?
na spina pungenti, nun tuccati ne a mia ne a genti. ---
soleva recitarsi alla vista di "nu scursuni "
S. Paulu ciaravulu, na scocca d'addauru, na spina
pungenti, non pungiti ne a mia ne a mala genti. Una
preghiera rivolta a S. Paolo, io la ripeto sempre il 29
di giugno ed ogni volta che vedo un essere strisciante,
tipo biscia nera, o scorpioni, S. Paolo era "ciaraulu"
immune ai serpenti (Maria Grazia Paparone )
mia madre mi raccontava che chi nasceva la notte di SS Pietro e Paolo
acquistava fin da bambino la facoltà di non essere
toccato dai serpenti e addirittura li teneva lontani.
Giuseppe Gaetano Trigili
C'e ne era uno che era il propietario del terreno dà Utara o`Cavazzu,
adesso di propietà del sign. Vito Margherita, abitante
in via Trieste Gaetano Fontana
Francesco Mazza Gaetano forse volevi dire autara o
ciaraulu? I propietari da utara o cavazzu sunu la
famiglia Vinci. Detti di ngiuria i pivirara
Gaetano Fontana Hai ragione, ma a me costache, il
terreno ora oliveto e negli anni 40 vigna, era do
Ciaravulu e poi da Vito Margherita piantato ad oliveto.
(Gaetano Fontana
Si Gaetano il terreno era do ciaraulu. Che si chiamava
don Paulinu chedopo lo comprò Margherita il falegname
Francesco Mazza
Mi ricordo che Mio Padre Lo chiamavano Tannu U Ciaraulu,
perche lui era offreno e questo uomo stacia a Baddia era
Ciaraulu. Vito Vacirca |
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LA CARTA VILINIA
Ti ricordi quanti metri di striscette di carta colorata
che ti facevano arrotolare le monache , in preparazione
delle feste !!! Ancora sento l'odore della minestra con
i fagioli che preparavano !!(Angelina Airo-Farulla)
anch'io arrotolavo
striscette!!! Le monache si facevano accompagnare spesso
da noi bambini. io detestavo uscire con le monache
perchè nel mio immaginario collegavo l'uscire con le
monache all'essere orfano e io non volevo essere orfano,
infatti quando me lo chiedevano tornavo subito a casa a
trovare la mia mamma!!:-)Giuseppe Gaetano Trigili
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ià ghià mmisu u
ritticulatu,
ma chiddri sautanu ca pari ca ianu a lettricu
Buon'anima di Vitu coddu loncu, al maresciallo
Pinacchi, continentale, che sentite le sue lamentele (
nei confronti dei GG "muntagnisi " le cui vacche
invadevano il suo campo ) gli consigliò di recintarlo,
rispose " ià ghià mmisu u ritticulatu, ma chiddri
sautanu ca pari ca ianu a lettricu ".(Nello
Benintende )
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MARIA LITRIA CACO'
La storia di "Maria Litria cacò" Così come mio
nonno Uciddazza la raccontava a me da quando avevo 5
anni.
Era la festa della Santa e , sopra la vara, c'era il
parrino che raccoglieva i soldi delle offerte dei
fedeli. A un certo punto al,parrino venne di cacare e
per non abbandonare i soldi nelle mani degli altri, si
abbassò dietro la santa e fece i suoi bisogni. Poi per
giustificare il misfatto, gridò a tutto il popolo:"Maria
Litria cacò....Miracolo miracolo"" e così tutti i fedeli
facevano a legnate e offrivano tanti soldi per
assaggiare la cacca benedetta della Santa. Questo è
quanto, chi vuole trovare una morale, la trovi. ( Angelo
Ciurcina )
Macari ma mamma ma cuntava a storia 'i "Santa Litria Cacò'" c'avia
successo a Vizzini o parrinu ca cugghia i sordi da santa
supra a vara, mi facia muoriri de risati quannu a
cuntava. (Turi Terzo)
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ARRUBBARI BUTTUNI
t'arricordi quannu ni annavumu a rubari i buttuni de
vistiti ca a genti stinnieva fora pi asciugari e appuoi
ni iucavumu e quannu pirdivumu n'arrubbavumu chiddri da
casa nosra ammucciuni de mammi (Tavano Vito)
Mia sorella ne ha prese tante di botte....quanti erano i
bottoni che tagliava dai vestiti.....e il peggio è che
spizzicava anche i vestiti. Io ero più piccolo e non
facevo queste cose....però infilavo le dita sporche nei
piatti di stratto stesi ad asciugare nella piazza della
matrice. Ma quali batteri, microbi e infezioni!!!! mai
avuto una febbre da piccolo. (Giuseppe Gaetano Trigili )
Si ni iucaumu puri i buttuni da sticchiera e appuoi
caminaumu ca pistulitta i nchianu (Francesco Mazza)
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LA RAPINA
A cammira de sucialisti, unni si iucava e carti, e
na vota arrubbanu a tutti, vinnunu che scupetti e i
spugghianu a tutti, a ma frari 'Ntoni ci arrubbanu a
cullana, i sordi s'avia ammucciatu 'nta cuasetta e nun
ci pigghianu, ma u cacazzu ci arristà
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AMORE PLATONICO
Tu ppî ssi e ppî nno na
lavata o culu rattîlla.
E' questa una frase pronunciata dalla "cunigghia"
(la sarta di Piazza Toselli) a una delle sue lavoranti
apprendiste.
Nell'immediato dopoguerra un soldato, fidanzato di
nascosto con una di queste, (a Buccheri c'era un
accampamento dell'esercito fino agli anni '50), le
chiese di poterla vedere la sera della festa e di
passeggiare con lei, fino a "Pressü Marenü". Alla
titubanza della ragazza lui le disse: "-Non
preoccuparti, faremo solo l'amore platonico".
La ragazza l'indomani raccontò la cosa alla mastra "cunigghia"
e le chiese di spiegarle cosa fosse l'amore platonico.
La cunigghia, dopo aver riflettuto a lungo le disse: "Figghia
mia, io sacciu tante cose di commmü si fa l'amürî, ma
questo amore platonico propriü nünn'ü sacciu
com'è; ma sai chî tî ricu? Tu ppî ssi e ppî nno na
lavata o culu rattîlla."
La frase rimase ad indicare che è sempre meglio essere
preparati "al peggio".
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NINETTA
Se nunn'amprena arrîfrîšca
Da un fatto realmente accaduto al sottoscritto.
Anni 50: mio padre aveva preso accordi
co' Ciuri
per portargli la nostra capretta a far montare dal
suo "becco". La capretta, di nome Ninetta, che mi seguiva come
un cagnolino, la portai io una sera nella sua "stalla"
sulla sinistra alla fine di via Castello, all'età di nove anni,
ed esattamente nell'estate del 1956 (verso metà agosto).
Ninetta era nata il 15 gennaio di quell'anno ed era la
prima volta che la si faceva montare. Se non ché al momento di
lasciargli la capretta arriva un altro contadino con aria
prepotente e con un'altra
capra adulta il quale si china nel deretano della mia
capretta e le apre con le dita il fiorellino dicendogli:
-Chista ciauriedda non è ancora pronta, chista nunn'amprena.
Facci muntari 'a mia ca è già pronta.
La risposta do Ciuri, uomo d'onore che aveva già
dato la parola a mio padre, fu netta e inconfondibile:
-A se nunn'amprena... arrîfrîšca.
E lo mandò via prendendo in consegna la mia capretta che
fu ben contenta di trascorrere la sua prima notte d'amore
con quel mitico "becco" che tutti chiamavano con
un sorriso malizioso e a
doppiosenso: "U beccu 'i Sciuri". (Vito
Gambilonghi)
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Luavî, Luavî
ca m'a ffigghiu pî mia
ha prîaü
Ultima frase pronunciata dalla mamma di San Pietro prima
di precipitare definitivamente all'inferno.
Si racconta che la madre di San Pietro, essendo una
donna malvagia, alla fine della sua vita sia finita
all'inferno.
Dopo diverse preghiere e intercessioni di San Pietro,
finalmente il Signore gli dà una possibilità di salvarla
e gli dice: "Vedi i resti di questa cima di porro?
Ebbene una volta mentre lo mondava, passò un porco e lei
glielo diede da mangiare... questa è l'unica e sola
buona azione della sua vita... tieni, porgiglielo, dille
di aggrapparvisi e potrai tirarla su in paradiso."
San Pietro va nel grande baratro e chiama sua madre, la
quale accorre insieme ad altre anime... Le porge la cima
di porro e la invita ad aggrapparsi per poterla tirare
su. Lei si aggrappa, ed essendo solo anima, ovviamente
leggera, lui poteva tirarla su se lei lo avesse lasciato
fare... ma nel mentre l'anima saliva su in cielo, altre
anime cercarono di aggrapparsi a lei (e alla sua
veste... ovviamente ormai solo allo stato immateriale) e
allora lei iniziò a scalciare e a rigettarle sotto
nell'inferno dicendo quella famosa frase:
Luavî, Luavî
ca m'a ffigghiu pî mia
ha prîaü
Ma nello scalciare, la cima di porro si ruppe e così
lei riprecipitò all'inferno insieme alle altre anime e
non ne potè mai più risalire.
E allora suo figlio, sconsolato, disse:
"-Sei proprio una donna malvagia... e quindi meriti
davvero di stare all'inferno..."
Nota dell'autore (Vito Gambilonghi):
Questa "storiella" me la raccontò diverse volte mia
madre (Grazia Franco cl. 1908) quando ero bambino, alla
quale a sua volta era stata raccontata quando era lei
bambina. Non so se altri ne hanno memoria, ma io sì e
quindi volentieri la cito e ne descrivo l'origine, non
fosse altro per annoverarla fra le saggezze popolari che
invitava tutti alla bontà ed alla solidarietà.
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Llampaü cacîciazzü
chî t'avia fattü m'affigghiü Vaštianü?
Realmente accaduto negli anni 50, o forse poco prima.
Un ragazzo, di nome Sebastiano muore, come si moriva un
tempo, molto giovane, e come si usava un tempo, mentre
passava per le strade le donne, che avevano avuto dei
morti recenti raccomandavano al morto attuale di portare
dei messaggi ai loro congiunti deceduti precedentemente.
E c'era la vedova cha mandava a dire al marito che gli
alberi di ulivo erano stati potati, un'altra che la
vigna l'aveva venduta, ecc. ecc. ecc.
Fu allora che Don vito Cacici, sarto, che abitava
a Strata Ranni, disse loro così:
-Ma scusate, perché non ci scrivete un pizzino. Il
ragazzo come può ricordarsi tutti questi messaggi?
Finì a gran risata, e la madre risentita, cantando, gli
pianse addosso questo ritornello:
Llampaü cacîciazzü chî t'avia fattü
m'affigghiü Vaštianü?
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LA BOMBA
Ie nünn'era na bomma
ie iera na vuttîgghîtta
ie avia a tešta rüssa
(Fatto realmente accaduto a Buccheri, nell'immediato
dopoguerra: due vecchietti, moglie e marito vanno a
lavare i panni a Passo Marino, a un tratto lei gli
chiede di levarsi
“i causi i tila” per lavarglieli e lui
rimase mezzo nudo a bighellonare, quando vide un ordigno
per terra e dice alla moglie:
-Guarda qui che ho trovato! 'Na buttigghitta ca testa
rossa.
Lei da lontano gli lancia uno sguardo e continua a
lavare i panni, lui cerca di aprirla e ad un tratto
quella esplode.
Durante le visite funebri la gente chiedeva chiarimenti
alla moglie, (la cui storia dell'esplosione della bomba
si riseppe per tutto il paese), ma la moglie ostinata
continuava a controbattere piangendo e cantando questo
ritornello)
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LE DITA DELLA MANO
Iaiu fammi
Nunn'avimmu
Ann'arrubbimu?
Non sacciu a via
caminàti cu mmia.
Era una variante per descrivere le dita della mano:
Nel primo caso (iaiu fammi) si alzava il pollice
da solo per indicare la desolazione.
Nel secondo caso (nunn'avimmu) si roteavano a destra e
sinistra pollice e indice, per indicare che si era
carenti di qualcosa. Ancora oggi si usa quel gesto per
indicare che manca qualcosa, es. senza denari.
Nel terzo caso (ann'arrubbimmu) si roteavano
in avanti le tre dita, (medio seguito da indice e da
pollice), gesto che indica ancora oggi la ruberia.
Nel quarto caso (Nun sacciu a via) indica il
gesto inutile di aprire le prime quattro dita della mano
ad esclusione del mignolo, e che indicano che il quarto
non serve a niente.
L'ultimo, il mignolo, se li trascina tutti con sè
dicendo (caminàti cu mia) e roteando tutte le
cinque dita della mano indica un gesto di "completezza"
e allo stesso tempo facendo risaltare l'arguzia e la
bravura del più piccolo.
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A ROTA I L'AERUPLANU
Quannu si dissi ca avia carutu na rota da n'aeroplanu
carennu supra a casa di giordano supra a strada
ranni ca ci sfunnau u tettu e ci spaccau u tavulinu
e pi pocu nunn'ammazzava puru a signura rintra a
cucina, dopu 50 anni si po diri a virità ca napocu
di carusi da lifisa aviumu truvatu na rota di camiu
e a purtammu supra o campu sportivu all'iniziu do
voscu e a lanciammu pinsannu ca si firmava subbitu
inveci co 1° sautu arrivau o centru do campu co 2°
sautu sautau supra e casi popolari carennu unni ura
c'è l'hotel montelauro co 3° dirittu supra o tettu a
genti accurrinu da tutti i parti e nessunu si sapia
spiegari di unni fossi arrivata sta rota, e nui
carusi a circalla quannu vistimu chiddu ca iera
successu a giurammu ca nuddu avia a diri nenti e si
avia mantiniri u sigretu.......finu a oggi
(Tavano
Vito)
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VIETATO L'INGRESSO AI CADAVERI NON SOCI"
Letta con i miei occhi negli anni '50 al cimitero:
all'ingresso del mausoleo di S. Francesco di Paola c'era un
cartello con la scritta:"VIETATO L'INGRESSO AI CADAVERI NON
SOCI".
(Tanino Cannata)
Commenti
Vuoi vedere che i cadaveri che erano soci avevano
l'abbonamento per cui potevano entrare ed uscire a
piacere?(Tavano Vito )
No n'to tabbutu ci mittiunu a tessera accussi i
canusciunu e puriunu trasiri (Francesco Mazza)
Ognunu 'nto quartieri sua (Turi Terzo)
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U TABUTU CA TINIUNU SUTTA U LIETTU DON PIPPINU LA ROSA, U
STAGNINU, E SA MUGGHIERI, DONNA MITA (Nello
Benintende)
Era stato un fascista e a Buccheri era rimasto solitario e nemmeno i suoi
parenti lo consideravano, era parente de CULOCCI C' abbitavano a
Bbatia (Francesco Mazza)
ma Donna Mita non era quella che abitava in via Ramondetta
vicino a "Ciappiedda? E sua figlia era " a signurina
Giuannina? (Antonia Assenza)
stacia a Chiazza, 'n facci 'i Santa Mariandalena, sutti a
signurina Amelia. Ha sempri 'ntisu diri ca era 'n fascistuni e u
tabbutu mu riordu, quannu ci passava davanti mi scantava (Turi
Terzo)
era chinu di sordi?? (María Acciarito)
ma quali sordi morsunu e u funirali l'happi a paiari u cumuni. Allura
c'era Ramunnetta e dissi ni luammu dâvanti l'urtimu fascista
(Francesco Mazza)
ma pirchi' , iddu nn'era statu macari fascista! (Nello
Benintende)
|
"Attìa cu l'uovu!"
Il
padrone di un terreno (Aldaresi) cercava di far lavorare
i contadini più che poteva. Di nascosto degli altri, li
chiamava ad uno ad uno e gli dava un uovo bollito duro
dicendogli: "Quando dico "Attìa cu l'uovu!" vuol dire
che devi lavorare con più lena. E così fece con tutti,
dandogli ad ognuno un uovo. Quando passò a controllare i
contadini, disse a voce alta: "Attìa cu l'uovu!" Ognuno
pensava che ce l'aveva con lui solo. E tutti
cominciarono a lavorare più svelti. Solo che questa
frase, ormai si dice ad un amico, con cui si ha un
piccolo segreto o si è complici. Tanino Cannata
|
-Unni tî nî vai maritü
mia?
-A pagghia bbüttana, a pagghia!!!
E' la storia di una moglie che ripeteva continuamente al
marito di amarlo perdutamente.
Una volta lui confida la cosa a suo compare il quale gli
suggerisce di fingersi morto per vedere realmente come
si fosse comportata la moglie. Se non ché lei non solo
prese la cosa con una certa strafottenza, ma addirittura
anziché fargli un funerale di prima classe con tanto di
bara lucida in legno, a chi le chiese dove lo dovevano
mettere indicò loro un riruni (quello per portare
a casa la paglia) e finalmente quando finita la funzione
del funerale lo stavano portando al cimitero, lei
fingendo di piangerlo gli gridò dietro:
-Unni tî nî vai maritü mia?
Lui finalmente, sciolta la riserva e fingendo di
"resuscitare", le rispose:
-A pagghia bbüttana, a pagghia!!!
|
Bbe
bbe ccì ccì iu' cürpanza nü'nnî vuogghi
Frase realmente pronunciata ai primi degli anni 60 da
Nino Franco junior mentre eravamo nell'aia in contrada
Pizzitto e "giocavamo" a lanciare a mo' di lancia i "trarenti"
mentre i nostri genitori non c'erano.
Durante un lancio da parte mia della trarenta di legno
di suo padre, questa, sbattendo contro una pietra, si
ruppe e allora lui preoccupato del rimprovero (e delle
legnate) che suo padre gli avrebbe dato disse quella
frase, chiedendomi (indirettamente) di assumermene la
responsabilità.
All'arrivo di suo padre io, che ero più grandicello,
dissi semplicemente che "la trarenta" si era rotta e suo
padre se ne uscì con una alzata di spalle dicendo:
-Tantu era già menza rutta... e c'iavia datu na
menza aggiustata, ura ni fazzo 'mmanucu pa zzappa.
|
C'a
fimmina mancu u diavulu ci potti
Si racconta che un giorno il Diavolo sia andato a
circuire la Donna. Costei si fece trovare prona a 4
zampe e nuda, fingendo di pascere sull'erba fresca.
Allora il Diavolo cercando la testa, prendeva in mano la
chioma dei capelli e diceva:
"-Se questa e' la coda, la testa starà dall'altra
parte?"
Quindi andava dall'altra parte, ma non ve la trovava e
ripeteva la stessa frase, ritornando dalla parte
opposta.
Alla fine sconsolatò abbandonò il cimento dicendole:
-Vattinni mala creatura ca tu si chiu diavula 'i mia.
|
Cala
ossü cala ossü cala tu ca sî cchiù
rossü
Si racconta che un tempo, quando Gesù girava per la
terra e andava di casa in casa vestito da viandante, in
una casa di poveri contadini vi fu accolto e invitato a
desinare. Prima di iniziare la frugale cena il capo
famiglia recitò la preghiera, che diceva appunto così:
cala ossü cala ossü, cala tu ca sî cchiù rossü.
Il Signore gli chiese ragione di quella preghiera e
quegli gli rispose che a lui era stato insegnato a
pregare così. Il Signore allora lo benedisse e benedisse
anche quella casa dicendogli che lui era un perfetto
Cristiano, perché non importano le parole, ma la
devozione con cui si prega e le nostre azioni per fare
di noi dei veri Cristiani.
Una successiva aggiunta riguarda il tizio che gli aveva
insegnato a pregare in quel modo. Costui infatti, che
conosceva bene il Paternostro, convinto che i posti in
Paradiso fossero limitati e per evitare che la famiglia
di quel villico li occupasse senza lasciarne disponibili
per lui, gli aveva insegnato quella falsa preghiera,
così, pensava, sarà la mia preghiera quella giusta che
il Signore ascolterà.
Il Signore invece proprio a lui che pure pregava in modo
corretto, lo scaraventò all'inferno, mentre quella
povera e umile famiglia fu accolta in Paradiso.
Morale della favola: non importano le parole, ma lo
spirito col quale si prega.
|
Cani
pitulanti e dulenti iu' t'attacco pi li
rampi e pi li renti
e tu a mia non mi poi nne fari nne diri nenti
(Si tratta di uno scongiuro che Vito Codduloncu
insegnò a Liliana Nigro da bambina perche' lei aveva
paura dei cani).
Liliana sostiene, ed io non ne dubito, che da allora in
avanti ha sempre funzionato.
Ma io che mi chiamo Vito e che conosco benissimo i cani
e il loro linguaggio, so per certo che quando un cane si
sente ripetere queste parole, la guarda e pensa tra sè e
sè: -Povira criatura... si scanta 'i mia...
facciamoci gli occhi dolci va... così speriamo che
prende coraggio.)
|
Carìnü l'armî 'nno 'nfernü
Frase che ripeteva sempre il maestro Vito Giaquinta,
alla chiusura delle urne la prima sera delle elezioni,
ad indicare che ormai il grosso era fatto e che
l'indomani, se anche si fosse continuato a votare fino
alle 14, si trattava ormai di ben poca cosa.
|
Cu acchiappa n'turcu è
sua
(variante licatese o di altri luoghi: cu aggarra n'turcu
è sua)
Quando i turchi invadevano le città siciliane (più
frequentemente quelle costiere) per fare razzia,
gli abitanti andavano a nascondersi nelle campagne. Poi
arrivava l'esercito regolare che metteva i turchi in
rotta in un fuggi fuggi generale. A quel punto gli
abitanti del luogo uscivano allo scoperto e si davano
alla caccia ai turchi (per farne degli schiavi) e la
regola che tutti gridavano in coro era proprio quella:
-Cu acchiappa n'turcu è sua;(diventa suo
schiavo).
(Val la pena ricordare che nel Rivelo del 1474 nella
sola Buccheri vennero dichiarati ben 21 schiavi,
prevalentemente turchi o comunque arabo-musulmani.)
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Mu mmuccià Ccicciü
(il libro) me l'ha nascosto Ciccio, (il suo fratello
maggiore).
Giustificazione vera di un ragazzino di scuola
elementare al fatto di essere andato a scuola senza il
libro di letture. Per decenza citiamo
solo le iniziali dei loro nomi e cognome:
C. R. (o meglio F. R.) il fratello maggiore.
P. R. (o meglio G. R.) il fratello minore.
G. R. la sorella, più grande di entrambi, era mia
coetanea e compagna di scuola.
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Monîchî 'o sculu
Si racconta che nel retro del vecchio convento dei
Cappuccini, vicino all'attuale cimitero, vi
"appendessero" per farli essiccare (e scolare) i monaci
defunti secondo una tecnica che potrebbe essere simile,
o quasi, a quella adottata nel convento dei Cappuccini
di Palermo dove sono visibili tutt'oggi i resti
"essiccati" di cadaveri plurisecolari, e non solo di
monaci.
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-Oh Turi, Turi i
truvasti i muli?
-Ora... nzu!
Si racconta che un padre e suo figlio persero i muli in
mezzo alla nebbia in una grande vallata.
Allora il padre va in una direzione verso sud mandando
il figlio nell'altra verso nord.
Sempre avvolti dalla nebbia ed essendo molto distanti il
padre grida fortissimo per farsi sentire, al figlio, se
per caso li avesse trovati.
Il figlio, mezzo scemo, rispondeva molto flebilmente:
-Ora... nzu.
Che significava:
-Ancora no.
Il padre ovviamente non lo sentiva e continuava a
gridargli la stessa domanda.
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Ppüppa ppüppa Michelancilü
Ppüppa tu!!!
(Si tratta di Michelangelo Fava
trisavolo degli odierni Fava nonchè
primo cugino di mia nonna materna che essendo magrolino
veniva trattato meglio, nel senso che l'osso col quale veniva fatto il bollito
gli veniva dato a spolpare per primo
essendo quello che ne aveva più bisogno.)
Il detto rimase a indicare, (per lo meno nella mia
famiglia),
un benevolo rimprovero verso chi
faceva delle particolarità nel distribuire qualcosa.
(Vito Gambilonghi)
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-Ziu Vitü commü
successi?
-Saccü francü e chiccü nenti!!!
(Il mugnaio Zio Vito Fava a qualcuna "disponibile"
rendeva sia il macinato che la "molitura" ovvero la
"crescita" di volume della farina che di norma andava al
mugnaio quale mercede per il suo lavoro).
Nel caso specifico una volta una ragazza gli disse:"Sali
tu (sul solaio) che poi vengo io".
Lui salì ma la ragazza tolse la scala e scappò via, sia
col macinato che con la "molitura".
Il detto riguarda sia la domanda della cliente
successiva che la risposta di ziu Vitu.
Parafrasando un proverbio si potrebbe dire: la farina
del diavolo se ne va in crusca oppure anche
curnutu e mazziatu
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I FRANCOFONTESI -
c'era stato un precedente di botte da orbi al tempo
della coppa montelauro e invasero buccheri a centinaia
arrivando al campo sportivo da tutti i lati e con fare
minaccioso ricordo che il maresciallo dei carabinieri ad
un certo punto chiese rinforzi a tutti i paesi limitrofi
oltre che ai carabinieri di stanza alla base nato alla
piana ad un certo punto avvenne l'invasione di campo
ricordo che per ogni buccherese ed erano tanti ,c'erano
almeno 10 francafontesi,i carabinieri attaccavano a
colpi di bandoliera arrestandone tanti portandoli nella
vicina caserma della guardia forestale dove in quel
periodo era anche la caserma dei CC ricordo che furono
momenti di terrore per tutti i buccheresi Tavano Vito)
CHI RICORDA I FAMUSI PUGNI TRA BUCCHERESI E
FRANCAFONTESI.... QUASI TUTTI I BUCCHERESI ERANO IN
PIAZZA ROMA A DARE PUGNI........MIO ZIO MENO BONARMA E'
SCIVOLATO R0MPENDOSI LA TESTA.-........(Nella Calisti)
LE PERSONE SI SONO MESSE A GRIDARE
MENO MORSI
E IO CHE ERO LI' MI SONO MESSA A PIANGERE,(Nella Calisti)
All' epoca noi avevamo il negozio ai canali, io sono
corso in piazza e quando ho visto quello che stava
succedendo mi sono messo tanta paura. Povero zio Meno.
(Alessandro Paparone)
me lo ricordo benissimo! ero li che passavo! questa
scena non la scorderò a vita natural durante!!! (Vicky
la Vicky)
Mi ricordo anche io. Avevo 12 anni. E' stata una caccia
all'uomo!! (Concita Ramondetta)
Mi ricordo, avevano anche delle catene i francafontesi,
vero? (Alessandro Paparone)
lo
sapete il motivo d questa famosa lite? pi in tilt di un
flipper (Vicky la Vicky)
No!
Pero c'era sempre rancore tra Buccheri e Francofonte,
forse per il calcio?( Alessandro Paparone)
Questa famosa lite tra buccheresi e francafontesi è
successa negli anni 70 e canali ed ha avuto un inizio
con dei cacciatori che hanno rimproverato un giovane di
Buccheri minacciando che successivamente avrebbero messo
a ferro e fuoco il paese di Buccheri effetivamente
ritornarono in forze trovando in piazza sempre lo stesso
giovane minacciandolo ma meno accorse in suo aiuto ma
mentre si toglieva la giacca fu colpito da un pugno che
lo fece cadere a terra battendo la testa al che l'intero
paese usci' dalle case e cominciò la caccia al
francofontese insequendoli per ogni dove e menando botte
do orbi. questo è il resoconto dell'accaduto che in
questo modo è arrivata in Svizzera dove io mi trovavo in
quel periodo (Tavano Vito)
Uno sa via ammucciato sotta i scalune i ncasa mia, na
via dott di Corrado! (Biagio Cantale)
"mi canosciunu comu i tri i bastuni" " ah si?!.. .ie cca
avemu u tri u dui tutta a napulitana lonca "e poi coppa
a levapilu unu si n'acchianau da costa o casali e poi do
cozzachiana assicutatu a corpi di paracqua de
vicchiareddi ca nisciunu ri n'casa (o cosi mi
raccontarono) (Carmelo Barbaro)
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CICIRITTU
Chi si ricorda la favola di Cicirittu? che fu mangiato
da una mucca perchè era nell'erba e non si vedeva e poi
fini nel tavolo di un macellaio in un pezzo di carne
"parlante" e poi.....non me la ricordo più? Credo che
deve essere conosciuta, visto che da piccolo i miei
compagni di scuola mi chiamavano appunto "cicirittu"
perchè ero piccolo e mingherlino (Giuseppe Gaetano
Trigili)
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LA FESTA DELLA MADONNA
Pa festa da Maronna na simana primma a banna di
bucchieri si facia u ggiru do paisi e annaunu n'ti tutti
i furni e rumpiunu u carusieddu pi dallu a Maronna
(Francesco Mazza)
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LA
FIERA DEL BESTIAME
vi ricorderete della grande fiera del bestiame di
buccheri (una delle pù grandi della sicilia orientale)
essa era dedicata un giorno ai bovini uno agli equini e
uno agli ovini-
quindi tre giorni di grande movimento tutti i funnichi e
tutte le botteghe di vino erano strapiene in
contemporanea ai canali si svolgeva una fiera molto
grande di vettovaglie altrezzi agricoli vestiarii
ecc.... noi bambini aspettavamo questi giorni per andare
a vendere l acqua ai ferioti con il bummolo di acqua
frescca. era un grande business. (Enzo Costantino)
C'è una novella del Verga, Storia dell'asino di San
Giuseppe, che comincia così :"L'avevano comperato alla
fiera di Buccheri ch'era ancor puledro.....". Per
ricordare l'importanza di quella fiera.
(Giuseppe
Barberi )
quelli si che erano bei tempi ricordo tutto come se fosse accaduto
soltanto ieri, per noi era in modo particolare perchè
era davanti a casa nostra ed eravamo sempre li dalla
mattina alla sera .....la stessa cosa era quando si
faceva la marchiatura del bestiame
(Tavano Vito)
per mio nonno erano giorni di grande fermento, era u
sansali dei sansali
...........
E come potrei non ricordare, io abitavo alla Lifisa ed
erano giorni di grande fermento per me specialmente
perché mio nonno era u sansali delle bestie in vendita,
e veniva gente a casa da mezza Sicilia. Poi tutta la
giornata in giro tra gli animali che riempivano tutto
l'allora campo sportivo e a tappeto la montagna dove ora
c'è bosco fino alla Chiesa del crocefisso. Che ricordi ( Francesco Gambilonghi)
Si svolgeva nel mese di maggio nei primi anni 60..E
ancora una volta ribadisco il mio disappunto di allora,
in quanto essa aveva luogo " a lifisa" sul campo
sportivo, privando me e gli altri miei compagni di
giocare le nostre partite di calcio dalla durata
infinita.....
Fausto Nicolini
Uno dei miei ricordi più remoti d’infanzia. Mi portava
mio nonno e speravo sempre che comprasse un cavallo ...
invece ... asino !
Vito Buccheri |
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I LAPUNI
Da bambino andavo qualche volta a catturare i
lapuni che si posavano sui fiori , Usavamo per questo
una pinza di cartone, altrimenti ci appizzava il chiodo
. Dopo averli catturati : ci sucavumu a badda (che
conteneva il miele) questo si trovava nella metà del
corpo del lapone, (Enzo Costantino)
e chi era duci u mieli; anveci e scardulli, chiddi beddi niuri e rossi, ci
attaccavumu nfilu i rucchieddu e i faciumu vulari (Turi
Terzo)
E quannu ni puncivunu virimmu se t' arricordi chi
facivumu pi fari passari u duluri? (Tavano Vito )
Ci Pisciaumu (Vittorio Salamone )
Io umanizzavo anche gli insetti. Li dotavo di sentimenti
e non riuscivo a fare loro del male. Uno che aveva
imparato la poesia: "La vispa teresa" e provava pena
alla frase "vivendo volando che male ti fo? Tu si mi fai
male stringendomi l'ale..." poteva mai ammazzare "il
calabrone che andava in bicicletta" ? oppure "l'apuzza
nica?" che andava in giro all'alba per portare qualcosa
a casa? (Giuseppe Gaetano Trigili)
Na vota pippuzzo sola per avere cercato di sucare a
badda direttamente do lapone spartuto a meta' ci unchio
u musso.(Salvatore Cappello)
Ma rricordu ca p'acchiappari i lapuni avivumu addivintatu tantu bravi ca
sapivumu viriri a differenza tra chiddri co chiovu e
chiddri senza e i pigghiavumu direttamenti che manu
senza pinsa di cartuni. Ma ogni tantu capitava ca ni
sbagghiavumu e allura erunu duluri (Tavano Vito)
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Iaddini (co' morbu) bugghiuti -
Na vota mi cuntava u bonarma 'i
Cicciu Uciddazza ca sa mamma, quannu viria e iaddini ca
sturcivunu u
coddu, pinsava c'aviunu u morbu e perciò i spinnava e i bugghia.
Allura Cicciu assicutava a pirati i iaddini e quannu cariuvunu
'n
terra ci ricia a sa mamma: Mamma a iaddina ci pigghià u morbu! E
accussi si manciavunu a povira iaddina. (Turi
Terzo)
|
FILIFERRU
-
Unu 'i Francufonti ca vinnia frutta a
Bucchieri. Na vota cuntà ca si n'avia annatu a
buttani a Rausa e ammentri ca era 'ntravaccatu vinni u
Cummissariu da Pulizia ca scassà a porta da buttana e ci
rissi a : "Filiferru Chi ci fai cà?" e Filiferru ci
arrispusi: "Cummissariu, chi mi canosci da minchia?
(" Cuntatu di Filiferru 'nto barru do Vicchittu, a Chiazza.)
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U IERMULU E A REGNA
quando si mieteva se ne raccoglieva un fascio di spighe
nella mano e si poggiava nelle immediate vicinanze. Altri fasci
venivano mietuti ad ogni colpo di falce e poggiati nello stesso
punto e tutti con le spighe rivolte nello stesso verso... fino a
formare nu' iermutu. Via via che ci si spostava in avanti non si
tornava mai indietro a rimettere i fasci nno' iermutu di prima
ma se ne formava un altro. A fine filagnu, o a fine di diversi
filagni, anche per far riposare un po' la schiena, si stendevano
delle Liamme per terra, e col rampino e un forcone si
raccoglievano i iermiti e si ponevano sopra le liamme in
posizione alternate e infine si legavano le liamme e si faceva
LA REGNA!. Ahooo se dovessero tornare i tempi di una volta (mai
dire mai), e lo ripeto scherzosamente spesso ai miei amici, solo
chi avrà la pazienza di imparare queste cose potrà sopravvivere.
(Vito Gambilonghi)
A maggior chiarimento:
Quando si mieteva a mano col pugno si afferrava un mazzo di
spighe (jermitu) si tranciava con la falce e si annodava con uno
dei gambi, quindi si depositava a terra in mucchi che venivano
rilevati dal liaturi, uomo attrezzato di croccu (corcu), ancinu
(ancìna) e cordelle di liammi ottenute da fibre vegetali, che
raccoglieva i jermiti in covoni (regni, gregni, formati da 12-16
mazzi) disposti con orientamento diverso.... Ercole Aloe |
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